Scappiamo dalla caotica Ho Chi Minh.
Siamo partiti la mattina presto facendoci dare un passaggio su un bus
di un tour organizzato che ci ha lasciato poi alla stazione
dell'autobus, da li solito taxi, ormai è d'obbligo, per l'albergo: 1
stella a My Tho, una cittadina che oltre a non averne quasi di
alberghi, poi scopriremo non avere neanche ristoranti (se due
tavolini bassi con sgabelli di plastica con qualche piatto di dubbia
commestibilità si può definire tale). Fatto sta che a prima vista
la camera sembra bella e spaziosa, ma dopo il primo minuto di
abbaglio notiamo che non tutto è bello come sembra: per prima cosa
la doccia non ha la tenda, infatti poi la sera diventerà una piscina
olimpionica; le lenzuola sono sporche; gli asciugamani sporchi; il
bagno sporco, con qualcosa di imprecisato e appiccicoso sul
lavandino, insomma, tutto ciò che si può sporcare è sporco, ma ci
faremo l'abitudine qui in Vietnam, forse. Poi la perla: la porta è
storta, praticamente ha uno spiffero di quasi 3 centimetri
nell'angolo in basso a sinistra e in alto a destra, neanche in coma
etilico un falegname potrebbe arrivare a tanto, siccome da su un
corridoio all'aperto ci allarmiamo per le zanzare e per i topi ma
per fortuna delle prime non ce ne sono molte in zona (non avremmo mai
detto!) e tappiamo il buco con un minimo di ingegno. Il primo
programma della giornata è visitare il tempio più importante della
cittadina, partiamo accompagnati dal nostro sudore (poca umidità) e
dalla mappa dataci in prestito da Truck, un signore che ci porterà
poi a fare un tour in barca nel pomeriggio. Si passa da un mercato,
sembra di essere in un altro mondo, siamo gli unici occidentali (in
tutto il giorno ne abbiamo incrociati sei), odori forti, sporcizia,
sorrisi, tantissimi “hello” rivolti a noi, dai bambini agli
uomini che bevono al “bar”, dai falegnami ai passanti, noi
guardiamo loro, loro guardano noi, incuriositi, entrambi. Sembrano
chiedersi tutti che diavolo ci facciamo li, forse non lo sappiamo
nemmeno noi. Odore di Vietnam.
Il tempio non è un granché, come gli
altri due o tre che abbiamo visto finora, sembrano troppo moderni,
troppo colorati, anni luce lontani dalla bellezza e solennità di
quelli giapponesi. Ma la lunga passeggiata è premiata anche da un
piccolo pranzo da una signora dolcissima, che ci fa accomodare nei
soliti tavolini in parte alla strada. Il problema è che serve solo
drink, il suo non sarebbe un ristorante (quando si chiede se si può
mangiare tutti annuiscono all'inizio, poi appena ti siedi e vuoi
ordinare si scopre che non c'è cibo), però si inventa qualcosa,
ramen iofilizzati, e per noi affamati e con poco tempo va benissimo,
si beve la solita birretta (forse è meglio iniziare ridurre la
razione quotidiana). Poi la signora ci offre due grossi pomodori, che
non mangiamo e allora ce li mette in un celofan con ghiaccio
nonostante proviamo a dissuaderla, continua a sorridere, si scrive
anche il numero dei suoi anni sulla mano tutta fiera. Strana e
adorabile signora.
Il pomeriggio ci sorprende. Partiamo
per il giro in barca, il fiume è immenso, vi si trovano barche di
pescatori, di commercianti, vi vivono dentro, nelle barche, usano
l'acqua del fiume per tutto, dalle feci alla pulizia dei piatti e
delle padelle, vi si lavano, capiamo quanto siano lontani anni luce
il nostro mondo e il loro. Ci troviamo in un canale circondato da
palme da cocco, “Vietnam Amazzonia” dicono. Il paesaggio è
bellissimo, sembra di essere in un film, l'unico problema è il
motore della barca, ogni tanto fa dei versi strani, tiene botta, poi
si ingolfa, due minuti di riposo per lui, temiamo il peggio, dopo
vari tentativi riparte, ripartiamo.
Ci fermiamo in una specie di
fattoria dove producono miele, whisky di banana, dolci gommosi al
cacao e ad altri vari gusti. Truck, la “guida” apre una gabbia, e
tira fuori il piccolino, ha appena due anni, che tenero, da anche i
baci sulla guancia, ah, è un pitone di quasi 3 metri. Ci sediamo in
una terrazza immersa nel verde, tetto fatto con le foglie di palma,
mangiamo frutta; in questi giorni continuo ad assaggiare cose e
frutta di cui ignoravo l'esistenza. Ci portano in un altro isolotto,
facciamo una passeggiata tra le fattorie del posto, ogni tanto Truck
prende qualche erba in parte alla strada, ce la fa mangiare (ormai le
regole per non prendere qualche batterio dell'intestino sono saltate
tutte, speriamo di aver fatto gli anticorpi) “questa sa di menta”,
“questa la usiamo per il sugo” “questa serve contro la malaria”
“questa va bene per la donna” “questa per l'uomo”(a letto
ovviamente), “questa tiene lontano i serpenti e viene piantata nei
pressi delle case”dice... scopriamo cose interessantissime, di come
questi uomini si sono arrangiati, e ancora lo fanno, senza la miriade
di medicinali che si trovano nelle nostre farmacie. Ci sono tanti
cani, galline, si è immersi nella natura, coi bambini che giocano e
alzano il braccio intonando il solito “hello”.
Poi passiamo nell'isola dei
coccodrilli, ma sono rinchiusi in recinzioni quindi non è molto
interessante, torniamo alla terra, bellissima giornata, bellissima
avventura, ti rimane qualcosa. Usciamo la sera per mangiare, con
difficoltà troviamo qualcosa, altra dura prova per il nostro
intestino, altri anticorpi, ormai ne abbiamo fatti abbastanza. Si
spera.
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