Can Tho ci sarà difficile scordarla,
nel bene e del male.
Tutto ha un inizio e tutto ha una fine,
e nel nostro caso l'inizio coincide con la fine. Purtroppo.
Veniamo portati con gli scooter sudando
freddo da Turck, il tizio che ci ha portato in giro per My Tho, e un
altro tizio muto, o presunto tale, a un benzinaio per prendere il
bus per Can Tho. Sembra il mercato: una testa spunta sempre dai
finestrini dei bus ed urla il nome della destinazione, se non si fa
un cenno tira dritto. Arriva il nostro. Dopo varie raccomandazioni di
Turck che non avremmo dovuto più pagare niente lo prendiamo e
naturalmente subito dopo la partenza ci viene chiesto di pagare,
anzi, Lei ci chiede di pagare: essere tondo, scimmia urlatrice di
80kg, gentilezza di impiegata postale col ciclo, e qua mi fermo semmai
diventerei volgare. Non sa dire altro che “money! Money!”, tento
di spiegarle, poi mi incazzo, alzo la voce pure io, pago. Sono uno
stupido. Ma la mia stupidità andrà oltre.
Arrivati, il taxi per l'hotel ci lascia
in una stradina che percorriamo tra casette e piantagioni, inizia a
gocciolare piano, sempre più forte, un acquazzone, arriviamo
all'hotel nel momento che Noè con l'arca passa per salvarci. Grazie
lo stesso, gli dico.
Stavolta lo abbiamo scelto bene
“l'hotel”: una capanna. Ma che Capanna, che posto... In riva al
fiume, 6 capanne con tetti in foglie di palma, pace. Sembra di essere
nel film “the beach” con Di Caprio. La hall è formata da un
computer portatile su uno dei tavolini di bamboo nel “ristorante”
dell'albergo, tutto è fatto di legno e bambù. Se fosse su un albero
ci sentiremmo quasi Tarzan e Jane... Cita e Jane. Pomeriggio di relax
assoluto, il primo, e ci voleva.
La sera si sta qui, per arrivare al
primo ristorante bisognerebbe prendere un taxi, provo il vino di
serpente che ha due cobra nella bottiglia, simile alla nostra grappa,
proviamo due cocktail: il mio col cocco, però di cocco non ne vedo,
forte, imbevibile; va meglio a Marika con il suo al dragon fruit.
Sveglia alle 5.00AM, inaspettatamente
non siamo due zombie. Visita con barca al mercato galleggiante, bello
e caratteristico con i commercianti con sopra le loro barchette
frutta e altro che si avvicinano a quelle dei clienti per
contrattare, e via di foto. Unico neo i giubbotti di salvataggio che
ci fanno indossare e ti fanno sembrare uno stupido turista, poi ci
pensi, turista lo sei, stupido pure.
Dopo una veloce visita all'adiacente
mercato su terra, tra i soliti forti odori, oche, rospi legati tra
loro con spaghi per non farli fuggire, uova fecondate da mangiare
crude (nausea al pensiero), torniamo alla base e partiamo per una
gita in bici della zona. Visitiamo una scuola, che però essendo
domenica è vuota; una fabbrica di riso; una fabbrica di vino di
riso, che grazie alla mia esperienza ne azzecco quasi la gradazione e
“vinco” uno shortino alle dieci di mattina. Qui vi sono anche
delle scrofe ubriacate per stare a terra e allattare i piccoli, non
un bellissimo spettacolo. Poi visitiamo un tempietto dove abitano dei
ragazzi orfani, una ragazzina carinissima con un bambino ci
avvicinano e tentano di parlarci un po in inglese, lei ha dei modi di
fare dolcissimi. La capo monaca invita il nostro gruppetto (cinque
occidentali) a pranzare, accettiamo. Naturalmente si mangia
vegetariano per mia sfortuna. Una vecchia ci mostra come mischiare il
cibo mescolando con le sue mani rugose e umide, poi me lo porge.
Mangio ripetendomi che saranno state bagnate di acqua, ci credo
ancora.
Uscendo dal tempio la ragazzina di
prima si avvicina e regala un anello a Marika, che quasi piange dalla
felicità.
Check out. Ci avviamo in taxi alla
stazione dei bus, non facciamo in tempo a scendere che veniamo
assaliti da uomini che urlano la nostra destinazione: Ho Chi Minh. Li
seguiamo. Qui si torna all'inizio del post, ricordate la “graziosa”
signora lottatrice di sumo del bus? Ebbene si, ci portano da lei, ci
mostra i biglietti, io stupido, senza un motivo, accetto. Nonostante
la ragazza italiana che ho di fianco e mi sopporta in questo viaggio
mi dica piu volte di non farlo. Saliamo sul bus dell'andata:
ODISSEA. Riassumendo:
-gli ammortizzatori non esistono
-le mie gambe (e non sono un gigante)
non ci stanno tra i sedili
-abbiamo gli zaini sopra le nostre
gambe
-si urla ogni 30 secondi a tutta la
gente in fianco alla carreggiata, chissà, magari uno che è li a
grattarsi i maroni decide di prendere un bus
-comincia a riempirsi il bus
-si riempie...
-...ma siamo in Vietnam, non importa
-spuntano degli sgabellini e la gente
viene incastrata nei minuscoli corridoi di 40 centimetri
-non importa, si sale ancora
-un vietnamita ritardato dietro di me
non ha il controllo delle sue mani, e ogni 5 minuti le picchia contro
la mia testa
-suo figlio mi ruba il keeway, riesco a
riprendermelo alla fine quando sta scendendo con esso
-tutto questo dura 5 ore, 5
interminabili ore
-fine
Anzi no. Il bus arriva ad una stazione
molto lontana dal centro. Altra mezzora di taxi. Maledetto bus,
maledetto io che l'ho scelto. Amen.
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