sabato 29 novembre 2014

LUANG PRABANG - LAOS



Laos, Luang Prabang, cittadina tranquilla e vivibile.
Il Laos ci ha accolto con semplicità, con il suo piccolo aeroporto “internazionale” di Luang Prabang, con gli addetti all'immigrazione divertiti dal nostro essere italiani che abbozzano un per loro italico “grazias”, ringraziamo per la buona volontà, ma l'unica parola che credono di sapere nella nostra lingua è errata. Comunque sia usciamo dall'aeroporto e non c'è anima viva, a parte quella dell'ultimo taxista rimasto nei paraggi, che ci porterà al nostro hotel. Già dalla stradina stretta e buia capiamo che qui non ci troviamo di fronte ad una città caotica come quelle del Vietnam.
La città è tranquilla, senza i continui clacson a cui ci siamo abituati, qui si può perfino attraversare la strada senza rischiare ogni volta la vita, e ciò ci piace molto. Ogni tanto spunta tra le case qua e là un tempietto, niente di particolarmente maestoso, neanche tra quelli più grandi, sembra che sia tutto a portata di uomo, la sera viene chiuso un tratto della via principale e allestito sotto le tende un mercato molto carino, dove i turisti passeggiano e comprano, ecco, forse uno dei difetti della città è che è piena di turisti come noi, ma non avete niente da fare? Andate a lavorare!




Tra i bambini e i ragazzi è usanza passare un periodo, di solito tra i tre mesi e i tre anni, come monaco in un tempio, perciò vedi questi gruppetti spuntare da ogni angolo di strada, tutti con i sandali e la loro tunica solitamente arancione, ridendo, mangiando cibo preso da qualche bancarella, giocando con il cellulare... uno lo abbiamo visto fumare una sigaretta, quello che fanno i monaci insomma... I monaci fumano?? ebbene si, qua sembra che le normali regole buddiste siano molto elastiche per loro, d'altronde non sono che normali ragazzini, pronti una volta terminato questo periodo di “rinunce” a tornare alla vita normale, basta soffermarsi due minuti ad osservarli per accorgerti di quanto siano simili a tutti gli altri ragazzini del mondo nonostante l'abbigliamento. Ogni mattina i monaci sfilano per le vie del centro città con la loro ciotola in mano, e i fedeli porgono loro del cibo come tradizione, ormai rovinata dai turisti e dai flash delle loro macchine fotografiche che rovinano l'atmosfera.




Siamo stati alcuni giorni a Luang Prabang, ci siamo trovati bene, abbiamo fatto amicizia con dei gattini che ogni tanto andavamo a trovare e abbiamo visto un po' tutto quello che c'era da vedere, compreso le cascate di Tat Sae, di cui ho già scritto, e le cascate di Kuang Si, più belle e maestose e in cui vi è anche un centro di recupero per orsi, ma cascate sfigate per Marika:
La prima sfiga è una delusione: per arrivare alle cascate ci si poteva fermare al butterfly park, lei era ansiosa di vedere le farfalle molto più che le cascate, ma purtroppo quel giorno era chiuso. Forse la notizia del suo arrivo si era sparsa in giro.
Poi, facendo la bulla e credendosi uno stambecco saltellando per la salita del bosco che porta alla sommità delle cascate,scivola. Forse perché NON è uno stambecco (anche se ci assomiglia)?, e si fa un buchetto alla mano. Ma tranquilli c'è il lieto fine: non gliel'hanno amputata..
Proseguendo, spinto da lei, titubante ho acconsentito a fare un bagno nelle acque azzurre e ghiacciate del posto. Sinceramente è stato molto piacevole, per me, mentre la signorina, entrata in acqua, dopo qualche metro scappa via terrorizzata perché qualcosa le ha ”morso” il piede. Bagno finito (per colpa di piccoli pesciolini che beccavano anche me, ma io essendo un vero macho di uomo sono rimasto in acqua, bravo me!)

Per finire nel rivestirsi, si mette un calzino in cui è entrata una formica rossa che la punge. Disperazione. Nasce il dubbio che sia velenosa. Chiediamo in giro. Io prenoto già la bara per la sua misura, comincio ad avvisare i parenti. Ma tranquilli, per “fortuna” non era velenosa, Marika è ancora qui tra noi. Ringraziamo il cielo. Festa annullata.




martedì 25 novembre 2014

LAOS - Noi e gli elefanti, gli elefanti e noi, noi elefanti

24 novembre, prendiamo il nostro primo Tuk Tuk. E che roba è? Si mangia? No, sono i taxi di queste parti, ignoranti! Si potrebbe paragonarli alle “api” della Piaggio, solo generalmente un po' più grandi, in cui i clienti salgono sul retro, che comodità! Sono colorati, simpatici, caratteristici di queste zone, ma qualsiasi sassolino che troverai sulla strada lo sentirai sulle tue chiappe, vabbè tanto ci siamo abituati... 




Per il prezzo della tratta è usanza contrattare, ma onestamente ne io e Marika siamo adatti a questo tipo di attività e ogni volta al massimo riusciamo a tirare giù il prezzo di un euro o due (in kip laotiani), rimanendo sempre con l'impressione di essere stati fregati di nuovo. Comunque, dopo aver “contrattato” con “Giustino”, l'autista ribattezzato così da noi, ci facciamo portare alle cascate di Tad Sae, aggiungendo cinque minuti di barca per arrivare sul posto. Barca, stretta e lunga, che sembra doversi ribaltare in qualsiasi momento, e in cui l'autista mentre è in movimento continua a svuotare dall'acqua con un catino, ma che problema c'è, non siamo mica alla Navigarda! È già tanto che non ci abbia messo cinque minuti per accendere il motore come quella che abbiamo preso il giorno prima. Arrivati a destinazione vediamo subito il principale motivo che ci ha portato in questo luogo:



Un modo diverso per festeggiare il compleanno di Marika (ps. È il suo compleanno! Auguri!)
Ci avviciniamo a toccarne uno per la prima volta: al tatto la pelle è molto dura e ruvida, con dei peletti neri di due/tre centimetri che spuntano un po' dappertutto e sono tutt'altro che morbidi, insomma, non è proprio come accarezzare un peluche!
Facciamo subito un giro su uno degli elefanti più piccoli: viene montato un palanchino sulla sua schiena in cui ci sediamo, il problema è che ci hanno dato l'animaluccio più irrequieto e che corre il doppio dei suoi simili, dunque a differenza degli altri clienti che sembrano godersi beati il giro a noi sembra di essere in groppa ad un cavallo... su e giù su e giù... Di questo giro non abbiamo foto, forse per mancanza di forza nell'indice dell'addetto a cui ho prestato la macchina fotografica.
Poi siamo andati a vedere le mini cascate del posto, veramente molto belle, con vasche di acqua limpidissima dove si poteva fare il bagno, anche se l'acqua era molto fredda.



Dopo mezzora di girovagare siamo arrivati al momento clou: il bagno con l'elefante! Questa è stata la parte in assoluto più divertente, in groppa all'elefante nel fiume. Io ne mangio di banane, ma questo qui in venti minuti se n'è mangiate una trentina, ci credo che poi sono grassi! A mio parere è stato il momento più divertente del nostro viaggio fino a qui, per Marika non lo so, un attimo che chiedo....”anche per te?” “siiiiii”.... ok, anche per lei.





Dopo aver fatto il bagno nel limpidissimo fiume marrone in cui stranamente non abbiamo preso qualche malattia (almeno per ora sembra di no) siamo corsi alle cascatelle, adesso l'acqua da molto fredda è passata a fredda e quindi ci siamo goduti un bel bagno in questo mini paradiso naturale.




Dopo essere tornati a Luang Prabang con il nostro mitico “Giustino”, che non capisce una mazza di inglese ma sorride sempre (e questo a noi basta e avanza, quindi lo abbiamo ingaggiato anche per la giornata dopo e poi... per forza sorride sempre, con tutti i soldi che gli abbiamo dato!), cena in un bel ristorantino nascosto vicino alla riva di un fiume, in cui per arrivarci dovevi attraversare un ponticello traballante fatto in bambù, che viene spazzato via durante la stagione delle piogge. Ci siamo goduti un ottima cena, e se a Marika non gli è piaciuta la giornata del suo compleanno... sberle!

sabato 22 novembre 2014

GOODBYE VIETNAM



Lasciamo il Vietnam.
Sembra passata una vita da quando siamo arrivati. Per la prima volta possiamo dire di aver fatto un viaggio, più che una vacanza, qui non è proprio un posto in cui si va per rilassarsi, a meno che tu non sia russo. Dovendolo descrivere in poche righe posso dire che è un mondo diverso, a tratti incomprensibile, un posto sicuramente da vedere, ma non da viverci, almeno per noi.
Ci sono luoghi bellissimi che ricorderemo per sempre; Sapa, Ha Long, Tam Coc, meraviglie della natura; poi i villaggi dei pescatori sul fiume, i mercati sulle barche, le risaie, suoni e odori che ti colpiscono all'improvviso.
“Il Vietnam sarebbe bello se non ci fossero i vietnamiti” ho detto a Marika a metà viaggio, ne sono convinto. Il vietnamita è una macchina commerciale, capaci di vendere di tutto, da uno spiedino a probabilmente la loro famiglia. Stanno all'erta, e quando ti vedono puoi notare il simbolo del dollaro sulle loro pupille. Questo può anche avere il suo fascino, per carità, ma che aggiunto al costante rumore dei clacson che usano con una facilità e passione inimmaginabili per noi occidentali rendono la minima ricerca di relax nelle città un'impresa impossibile. Tutto questo però si alleggerisce quando incroci qualche bambino, qualche vecchietta col cappello di paglia, o il marito pieno di rughe e con una lunga barba bianca che ti salutano con un cenno del capo sorridendoti.
In questi giorni abbiamo fatto circa 2500 km in bus, che vi garantisco valgono almeno il doppio fatte in Vietnam: si viaggia lentissimi, schivando buche e prendendo dossi che ti fanno saltare dei centimetri dal tuo sedile ( non esagero). In totale abbiamo fatto circa 65 ore in bus, mini soste comprese, non male, ormai abbiamo i calli sulle chiappe.
Questo è stato il secondo paese asiatico che abbiamo visitato dopo il Giappone, e ci ha fatto capire la diversità che esiste nel mondo, anche due paesi poi non così distanti sulla cartina geografica lo sono eccome nella realtà, ed è proprio questo il bello di viaggiare: scoprire queste diversità.

Comunque sia salutiamo il Vietnam e i vietnamiti, nel bene e nel male, e chissà, magari la prossima volta saremo noi a vendere qualcosa ad uno di loro... “do you want to rent a motorbike?” sarà difficile toglierselo dalla testa.

Comunque i post sul Vietnam non sono finiti, metterò ancora foto e commenti di posti visti appena avrò tempo!

sabato 15 novembre 2014

NHA TRANG

Nha Trang come tipo di città è molto simile a Mui Ne, con spiaggie e molti russi. Abbiamo visitato un piacevole tempio Cham e mangiato persino una pizza mangiabile. Qui abbiamo fatto il nostro primo bagno nel mare, e un'onda ci ha travolto e portati in giro per vari metri con Marika che rialzandosi si è trovata con le poppe al vento...sporcacciona!







giovedì 13 novembre 2014

DALAT

Dalat è l'unico posto per adesso in cui il tempo non è stato dalla nostra parte, peccato perchè è una bella cittadina tra i monti a 1500 metri di altitudine con una temperatura gradevole.
Per arrivarci abbiamo percorso col bus delle buche, chilometri e chilometri di buche, qua c'è anche qualcuno che si azzarda a chiamarla strada, abbiamo fatto il rally bus, rischiando la vita più volte visto la guida "dolce" che hanno da queste parti.
Della città siamo riusciti a vedere solo la "crazy house": una casa che sembra uscita da Gardaland, molto carina e particolare ma una parte di essa è ancora un cantiere, con muratori che vi lavorano tra i visitatori (e per i bambini abbastanza pericolosa, con ringhiere delle scale bassissime o inesistenti, pezzi di ferro che spuntavano dai muri, ma qua non è che badano tanto alla sicurezza...)






 Abbiamo visitato un bel tempio con pagoda fatti a mosaico, probabilmente il più bello per ora visto qua. Arrivati in quest'ultimo purtroppo ha cominciato a piovere e ciò ci ha indotto a tralasciare il resto del programma.





A Dalat abbiamo avuto sorprese sia positive che negative a tavola. Abbiamo provato e apprezzato il caffè Vietnamita, un cappuccino con torta che però costavano più che in Italia (il cappuccino sopratutto in tutto il paese è caro), siamo andati in un ristorante giapponese: l'"Ichi", dove oltre all'ottima cucina abbiamo fatto amicizia col titolare e un signore in parte a noi mentre mangiavamo molto simpatico, entrambi giapponesi, e questo ci ha fatto fare un tuffo nel passato pensando al Giappone con un pò di nostalgia, forse perchè qua in Vietnam chiunque sembra interessato a te e abbia voglia di parlare pare lo faccia solo per cercare di venderti qualcosa. Per il mio compleanno invece abbiamo deciso di andare al "Momiji", un misto tra italiano e giapponese (qua la pasta e la pizza la fanno un po' dappertutto, male, ma la fanno), solo che il sushi era troppo caro e forse è un bene che non l'abbiamo mangiato visto la "freschezza" del polipo che ho ordinato e poi lasciato quasi tutto nel piatto; e non parliamo della pizza al sapore di menta e del resto. Insomma, pagando quasi come in un ristorante giapponese abbiamo preso una bella fregatura. Auguri a me!!
Di Dalat ci resterà anche il ricordo della nostra doccia in hotel, la pressione di un rubinetto non chiuso del tutto che perde qualche goccia... ci mancherai.

martedì 11 novembre 2014

MUI NE - Dove i russi vanno in vacanza

Madre Russia!
Se non sapessimo con certezza dove fossimo, guardandoci attorno diremmo Russia, ma non quella che conosciamo, ma una calda, tranquilla, balneare Russia.
Già, perché qua le insegne dei negozi, i cartelli stradali, addirittura molti menù dei ristoranti sono scritti in russo. La stragrande maggioranza delle persone, a parte i Vietnamiti che vi lavorano, sono questi europei dai lineamenti tutti uguali, che sembrano usciti da qualche film americano, dove puntualmente fanno la parte di chi viene preso a calci nel culo, ma che qui la fanno da padroni.
Ciò è un bene per noi, in quanto nonostante i prezzi leggermente più alti, la qualità media di alberghi e ristoranti è notevolmente superiore in confronto ai luoghi in cui siamo già stati; pure il servizio è migliore, ma con dispiacere dei camerieri vietnamiti quando è il momento di pagare, noi barboni non lasciamo le mance russe.
Tutto ciò però va a discapito del motivo che ci ha portato in Vietnam, in quanto questa sembra una comune località balneare come ce ne sono a centinaia in tutto il mondo, ma per un paio di giorni direi che si può resistere.
Per quanto riguarda noi due, dopo aver sudato come due maratoneti dilettanti per fare con gli zaini i cento metri di salita che ci separano dalla fermata del bus all'hotel, decidiamo di noleggiare uno scooter, un Honda, garanzia di sicurezza... se solo partisse. Dopo vari tentativi ci concede di mettersi in moto... partenza! Peccato che non ci sia benzina, allora siamo costretti a fare subito rifornimento dal benzinaio: una signora che fuori dal suo negozietto ha una pompetta che contiene solo tre litri di benzina e che deve caricare ogni volta tirando una leva su e giù. Più che altro sembra il benzinaio delle macchinine Peg Perego dei bambini. Comunque constatiamo che anche qui va di moda pagare tanto la benzina, forse è per quello che poca gente va in giro in macchina.

Si riparte, ci vuole un po' di ambientamento per le strade “a macchia”, le macchie sarebbero le buche, però nonostante lo speccheitto “homemade” da cui riesco a vedere solo il riflesso del mio petto ci prendo la mano e sembro il Valentino Rossi dei tempi migliori da come sorpasso i vietnamiti nel loro habitat. In poco tempo arriviamo al deserto, si, il famoso deserto vietnamita! Non so cosa ci facciano qui, fatto sta che ci sono delle dune di sabbia, anche piuttosto grandi. 





Dopo un po' di sosta sulla cima di quella più alta scansando le signore venditrici di teli per scivolare giù dalle dune (che per pigrizia ci rifiutiamo di fare: dopo essere scesi bisogna anche ritornare su...) riprendiamo lo scooter e ci fermiamo per il tramonto, nonostante non sia dei migliori, a vedere il panorama dalla baia con decine e decine di barche di pescatori ancorate nei pressi della riva, posto in cui torniamo anche la mattina dopo per le foto che la mia macchina fotografica mi costringe a fare, che pazienza! 







Torniamo in hotel con l'intenzione di fare un bagno in piscina (che hotel da sboroni!) e non facciamo tempo a rientrare in camera che comincia a piovere, ma dopo una giornata sotto il sole nulla ci può fermare, quindi ci godiamo un po' di relax in piscina sotto la pioggia... e stavolta, anche se non centra molto con il Vietnam, non è che ci dispiaccia poi tanto...

giovedì 6 novembre 2014

CAN THO - Gioie e dolori



Can Tho ci sarà difficile scordarla, nel bene e del male.
Tutto ha un inizio e tutto ha una fine, e nel nostro caso l'inizio coincide con la fine. Purtroppo.
Veniamo portati con gli scooter sudando freddo da Turck, il tizio che ci ha portato in giro per My Tho, e un altro tizio muto, o presunto tale, a un benzinaio per prendere il bus per Can Tho. Sembra il mercato: una testa spunta sempre dai finestrini dei bus ed urla il nome della destinazione, se non si fa un cenno tira dritto. Arriva il nostro. Dopo varie raccomandazioni di Turck che non avremmo dovuto più pagare niente lo prendiamo e naturalmente subito dopo la partenza ci viene chiesto di pagare, anzi, Lei ci chiede di pagare: essere tondo, scimmia urlatrice di 80kg, gentilezza di impiegata postale col ciclo, e qua mi fermo semmai diventerei volgare. Non sa dire altro che “money! Money!”, tento di spiegarle, poi mi incazzo, alzo la voce pure io, pago. Sono uno stupido. Ma la mia stupidità andrà oltre.
Arrivati, il taxi per l'hotel ci lascia in una stradina che percorriamo tra casette e piantagioni, inizia a gocciolare piano, sempre più forte, un acquazzone, arriviamo all'hotel nel momento che Noè con l'arca passa per salvarci. Grazie lo stesso, gli dico.
Stavolta lo abbiamo scelto bene “l'hotel”: una capanna. Ma che Capanna, che posto... In riva al fiume, 6 capanne con tetti in foglie di palma, pace. Sembra di essere nel film “the beach” con Di Caprio. La hall è formata da un computer portatile su uno dei tavolini di bamboo nel “ristorante” dell'albergo, tutto è fatto di legno e bambù. Se fosse su un albero ci sentiremmo quasi Tarzan e Jane... Cita e Jane. Pomeriggio di relax assoluto, il primo, e ci voleva.




La sera si sta qui, per arrivare al primo ristorante bisognerebbe prendere un taxi, provo il vino di serpente che ha due cobra nella bottiglia, simile alla nostra grappa, proviamo due cocktail: il mio col cocco, però di cocco non ne vedo, forte, imbevibile; va meglio a Marika con il suo al dragon fruit.
Sveglia alle 5.00AM, inaspettatamente non siamo due zombie. Visita con barca al mercato galleggiante, bello e caratteristico con i commercianti con sopra le loro barchette frutta e altro che si avvicinano a quelle dei clienti per contrattare, e via di foto. Unico neo i giubbotti di salvataggio che ci fanno indossare e ti fanno sembrare uno stupido turista, poi ci pensi, turista lo sei, stupido pure.




Dopo una veloce visita all'adiacente mercato su terra, tra i soliti forti odori, oche, rospi legati tra loro con spaghi per non farli fuggire, uova fecondate da mangiare crude (nausea al pensiero), torniamo alla base e partiamo per una gita in bici della zona. Visitiamo una scuola, che però essendo domenica è vuota; una fabbrica di riso; una fabbrica di vino di riso, che grazie alla mia esperienza ne azzecco quasi la gradazione e “vinco” uno shortino alle dieci di mattina. Qui vi sono anche delle scrofe ubriacate per stare a terra e allattare i piccoli, non un bellissimo spettacolo. Poi visitiamo un tempietto dove abitano dei ragazzi orfani, una ragazzina carinissima con un bambino ci avvicinano e tentano di parlarci un po in inglese, lei ha dei modi di fare dolcissimi. La capo monaca invita il nostro gruppetto (cinque occidentali) a pranzare, accettiamo. Naturalmente si mangia vegetariano per mia sfortuna. Una vecchia ci mostra come mischiare il cibo mescolando con le sue mani rugose e umide, poi me lo porge. Mangio ripetendomi che saranno state bagnate di acqua, ci credo ancora.
Uscendo dal tempio la ragazzina di prima si avvicina e regala un anello a Marika, che quasi piange dalla felicità.



Check out. Ci avviamo in taxi alla stazione dei bus, non facciamo in tempo a scendere che veniamo assaliti da uomini che urlano la nostra destinazione: Ho Chi Minh. Li seguiamo. Qui si torna all'inizio del post, ricordate la “graziosa” signora lottatrice di sumo del bus? Ebbene si, ci portano da lei, ci mostra i biglietti, io stupido, senza un motivo, accetto. Nonostante la ragazza italiana che ho di fianco e mi sopporta in questo viaggio mi dica piu volte di non farlo. Saliamo sul bus dell'andata: ODISSEA. Riassumendo:
-gli ammortizzatori non esistono
-le mie gambe (e non sono un gigante) non ci stanno tra i sedili
-abbiamo gli zaini sopra le nostre gambe
-si urla ogni 30 secondi a tutta la gente in fianco alla carreggiata, chissà, magari uno che è li a grattarsi i maroni decide di prendere un bus
-comincia a riempirsi il bus
-si riempie...
-...ma siamo in Vietnam, non importa
-spuntano degli sgabellini e la gente viene incastrata nei minuscoli corridoi di 40 centimetri
-non importa, si sale ancora
-un vietnamita ritardato dietro di me non ha il controllo delle sue mani, e ogni 5 minuti le picchia contro la mia testa
-suo figlio mi ruba il keeway, riesco a riprendermelo alla fine quando sta scendendo con esso
-tutto questo dura 5 ore, 5 interminabili ore
-fine
Anzi no. Il bus arriva ad una stazione molto lontana dal centro. Altra mezzora di taxi. Maledetto bus, maledetto io che l'ho scelto. Amen.


lunedì 3 novembre 2014

MY THO - Delta del Mekong



Scappiamo dalla caotica Ho Chi Minh.
Siamo partiti la mattina presto facendoci dare un passaggio su un bus di un tour organizzato che ci ha lasciato poi alla stazione dell'autobus, da li solito taxi, ormai è d'obbligo, per l'albergo: 1 stella a My Tho, una cittadina che oltre a non averne quasi di alberghi, poi scopriremo non avere neanche ristoranti (se due tavolini bassi con sgabelli di plastica con qualche piatto di dubbia commestibilità si può definire tale). Fatto sta che a prima vista la camera sembra bella e spaziosa, ma dopo il primo minuto di abbaglio notiamo che non tutto è bello come sembra: per prima cosa la doccia non ha la tenda, infatti poi la sera diventerà una piscina olimpionica; le lenzuola sono sporche; gli asciugamani sporchi; il bagno sporco, con qualcosa di imprecisato e appiccicoso sul lavandino, insomma, tutto ciò che si può sporcare è sporco, ma ci faremo l'abitudine qui in Vietnam, forse. Poi la perla: la porta è storta, praticamente ha uno spiffero di quasi 3 centimetri nell'angolo in basso a sinistra e in alto a destra, neanche in coma etilico un falegname potrebbe arrivare a tanto, siccome da su un corridoio all'aperto ci allarmiamo per le zanzare e per i topi ma per fortuna delle prime non ce ne sono molte in zona (non avremmo mai detto!) e tappiamo il buco con un minimo di ingegno. Il primo programma della giornata è visitare il tempio più importante della cittadina, partiamo accompagnati dal nostro sudore (poca umidità) e dalla mappa dataci in prestito da Truck, un signore che ci porterà poi a fare un tour in barca nel pomeriggio. Si passa da un mercato, sembra di essere in un altro mondo, siamo gli unici occidentali (in tutto il giorno ne abbiamo incrociati sei), odori forti, sporcizia, sorrisi, tantissimi “hello” rivolti a noi, dai bambini agli uomini che bevono al “bar”, dai falegnami ai passanti, noi guardiamo loro, loro guardano noi, incuriositi, entrambi. Sembrano chiedersi tutti che diavolo ci facciamo li, forse non lo sappiamo nemmeno noi. Odore di Vietnam.
 
 
Il tempio non è un granché, come gli altri due o tre che abbiamo visto finora, sembrano troppo moderni, troppo colorati, anni luce lontani dalla bellezza e solennità di quelli giapponesi. Ma la lunga passeggiata è premiata anche da un piccolo pranzo da una signora dolcissima, che ci fa accomodare nei soliti tavolini in parte alla strada. Il problema è che serve solo drink, il suo non sarebbe un ristorante (quando si chiede se si può mangiare tutti annuiscono all'inizio, poi appena ti siedi e vuoi ordinare si scopre che non c'è cibo), però si inventa qualcosa, ramen iofilizzati, e per noi affamati e con poco tempo va benissimo, si beve la solita birretta (forse è meglio iniziare ridurre la razione quotidiana). Poi la signora ci offre due grossi pomodori, che non mangiamo e allora ce li mette in un celofan con ghiaccio nonostante proviamo a dissuaderla, continua a sorridere, si scrive anche il numero dei suoi anni sulla mano tutta fiera. Strana e adorabile signora.
Il pomeriggio ci sorprende. Partiamo per il giro in barca, il fiume è immenso, vi si trovano barche di pescatori, di commercianti, vi vivono dentro, nelle barche, usano l'acqua del fiume per tutto, dalle feci alla pulizia dei piatti e delle padelle, vi si lavano, capiamo quanto siano lontani anni luce il nostro mondo e il loro. Ci troviamo in un canale circondato da palme da cocco, “Vietnam Amazzonia” dicono. Il paesaggio è bellissimo, sembra di essere in un film, l'unico problema è il motore della barca, ogni tanto fa dei versi strani, tiene botta, poi si ingolfa, due minuti di riposo per lui, temiamo il peggio, dopo vari tentativi riparte, ripartiamo.
 
 
 
 
 
 
 
Ci fermiamo in una specie di fattoria dove producono miele, whisky di banana, dolci gommosi al cacao e ad altri vari gusti. Truck, la “guida” apre una gabbia, e tira fuori il piccolino, ha appena due anni, che tenero, da anche i baci sulla guancia, ah, è un pitone di quasi 3 metri. Ci sediamo in una terrazza immersa nel verde, tetto fatto con le foglie di palma, mangiamo frutta; in questi giorni continuo ad assaggiare cose e frutta di cui ignoravo l'esistenza. Ci portano in un altro isolotto, facciamo una passeggiata tra le fattorie del posto, ogni tanto Truck prende qualche erba in parte alla strada, ce la fa mangiare (ormai le regole per non prendere qualche batterio dell'intestino sono saltate tutte, speriamo di aver fatto gli anticorpi) “questa sa di menta”, “questa la usiamo per il sugo” “questa serve contro la malaria” “questa va bene per la donna” “questa per l'uomo”(a letto ovviamente), “questa tiene lontano i serpenti e viene piantata nei pressi delle case”dice... scopriamo cose interessantissime, di come questi uomini si sono arrangiati, e ancora lo fanno, senza la miriade di medicinali che si trovano nelle nostre farmacie. Ci sono tanti cani, galline, si è immersi nella natura, coi bambini che giocano e alzano il braccio intonando il solito “hello”.
 

 
Poi passiamo nell'isola dei coccodrilli, ma sono rinchiusi in recinzioni quindi non è molto interessante, torniamo alla terra, bellissima giornata, bellissima avventura, ti rimane qualcosa. Usciamo la sera per mangiare, con difficoltà troviamo qualcosa, altra dura prova per il nostro intestino, altri anticorpi, ormai ne abbiamo fatti abbastanza. Si spera.